3 maggio 2012

To Rome With Love (W. Allen, 2012)

A pochi mesi dal successo di Midnight in Paris, il regista 77enne sforna un film ad episodi completamente girato e dedicato a Roma.

Continuo a chiedermi perché Woody Allen dopo i bellissimi film dedicati a New York (Manhattan, 1979), a Londra (Match Point, 2005) e a Barcellona (Vicky Cristina Barcelona, 2008) abbia deciso di cadere così in basso proprio su Roma. Poi penso, e se l’avesse fatto apposta? per punirci? Sì, per mostrare al mondo quanto brutti e inetti siamo… ma no, non mi sembra una lettura sensata. Forse lo sarebbe se analizzassimo soltanto l’episodio di cui Roberto Benigni è il protagonista (bravo come se recitasse in un suo film): un paradossale sfottò sulla televisione e sull’informazione italiana, totalmente concentrata sulla fama di personaggi dal talento incompreso (e incomprensibile). Ma gli altri episodi raccontano una Roma da cartolina, che dovrebbe far luccicare gli occhi e sognare lunghe passeggiate trasteverine. Roma è bella, si sa, non ci voleva molto a renderla magica e affascinante. Allen in questo non fa alcuno sforzo. Gioca anche coi cliché (come ha sempre fatto) e col paradosso, ma stavolta non è capace né di raccontare una storia coinvolgente né di far ridere. Se il suo obiettivo era rendere omaggio alla commedia italiana, mi chiedo perché ispirarsi (involontariamente, spero!) a Boldi e De Sica invece che a Soldini e Virzì. Il film ci avrebbe guadagnato.

Oltre a mancare di una storia che valga la pena vedere, il film è tecnicamente disturbante: il doppiaggio è pessimo e – cosa che veramente detesto! – non si fa nulla per rendere la differenza tra i dialoghi in americano e quelli in italiano.

Insomma, sembra che Woody Allen abbia girato a Roma per farci un piacere, per accogliere tutti questi attori italiani disperati che, pur di scrivere sul curriculum vitae di aver recitato in un suo film, si sarebbero accontentati di interpretare un sampietrino parlante. Che figure pietose!

Ma anche agli altri attori non va meglio, visto che ricoprono ruoli macchiettistici, piatti e ovvi. La chicca finale è certamente il vigile urbano che nell’ultima scena saluta il pubblico in sala affacciandosi dal balcone del suo appartamento a Piazza di Spagna… sì, come no!

Voto: 4

14 aprile 2012

Diaz - Non pulire questo sangue (D. Vicari, 2012)


Daniele Vicari, attraverso gli atti processuali, firma il film che racconta il massacro avvenuto all'interno della scuola Diaz a Genova nel 2001.

La mano del regista, forse poco avvezzo al genere, fa zoppicare l'inizio del film. Il decollo avviene con l'esplosione di violenza, quando la polizia irrompe nella scuola Diaz e da quel momento sullo schermo si vedranno solo sangue, tumefazioni, ferite, e si sentiranno solo i tonfi dei manganelli, le urla e i lamenti di dolore. Gli spettatori in sala rimangono in un assoluto e immobile silenzio, assaliti da un'angoscia e un senso di impotenza difficili da scrollarsi di dosso. Un vero pugno nello stomaco. Dovresti aspettartelo perché conosci i fatti, eppure la fitta arriva lo stesso, forte e prolungata.

Purtroppo Daniele Vicari decide di puntare il dito soltanto contro la polizia, senza approfondire l'aspetto politico della vicenda, rendendo il suo film non meritevole dell'etichetta di 'cinema di denuncia'. Però è capace di descrivere chiaramente un triste momento della storia italiana, in cui riconoscere la nascita della comunicazione e dell'informazione globalizzata prima di YouTube, dell'ADSL, dei cellulari con la fotocamera, di Facebook e di Twitter.

Voto: 7,5

3 aprile 2012

Romanzo di una strage (M.T. Giorgana, 2012)

«Esci da quell'ora e mezza di spettacolo sapendone di più sull'Italia, sullo Stato in cui vivi, sulla gente con la quale condividi le tue sorti nel bene e nel male, sui veleni che inquinano la società e sul doppio o addirittura triplo livello sui cui piani si è svolta la storia dell'Italia del Novecento, la nostra storia» (Eugenio Scalfari).

26 marzo 2012

17 ragazze (D. e M. Coulin, 2011)

Le sorelle Coulin ambientano a Lorient, in Bretagna, un fatto realmente accaduto nel 2008 in Massachusetts. Diciassette ragazze dello stesso liceo decidono di rimanere incinte contemporaneamente con l’utopico progetto di crescere i loro figli insieme (una comunità di mamme un po’ hippie), e in modo possibilmente diverso da come loro stesse sono state cresciute dai genitori.

Dopo aver visto questo film, la mente corre immediatamente a Juno (J. Reitman, 2007) in cui una ragazzina rimasta incinta decide di portare avanti la gravidanza. In Juno però non solo i presupposti, ma anche le conseguenze sono diametralmente opposte rispetto a 17 ragazze: il concepimento è il tipico incidente di percorso al quale porre rimedio nel migliore dei modi, e Juno (Ellen Page) – nonostante sia un’adolescente ribelle e un po’ mascolina – impara nei nove mesi di gestazione ad affrontare la gravidanza con maturità e senso di responsabilità; il messaggio era semplice “Anche una gravidanza prematura e non desiderata può renderti migliore”.

In 17 ragazze invece il concepimento non solo è desiderato, è soprattutto pianificato. La gravidanza è l’unico angolo di mondo che sfugge al controllo dei genitori, della scuola e dei maschi coetanei (descritti come meri oggetti sessuali): è un prezioso angolo di libertà che consente a queste diciassette adolescenti di immaginare un futuro diverso rispetto a quello prospettato dalle loro famiglie. La gravidanza le rende speciali e unite, dà loro nuovi stimoli, senza mai renderle più mature e più responsabili. I nove mesi di gestazione sono solo il necessario percorso per arrivare all’agognata libertà. Niente di poetico, niente di educativo.

Questa scelta si rivela subito come il capriccioso desiderio di un gruppo di ragazze ribelli o semplicemente vittime del modello imitativo tipico dell’età adolescenziale. Non esiste senso morale, né la possiblità che una prematura gravidanza possa far crescere le protagoniste, donando loro maggiore senso di responsabilità e un’immediata maturità.

Le due registe fotografano la vicenda e la mostrano per quella che è, lasciando agli spettatori il compito di trarre dei giudizi e alle immagini quello di prospettare le uniche conseguenze possibili.

Voto: 8

[Premio Speciale della Giuria al 29° Torino Film Festival]

10 febbraio 2012

The Iron Lady (P. Lloyd, 2011)

Questo film vorrebbe raccontare la storia di Margaret Thatcher. Uso il condizionale perché sullo schermo avviene l’esatto contrario. Phyllida Lloyd non rende giustizia a un personaggio fondamentale della storia europea; concentra tutte le sue energie nel lacrimevole racconto di una vecchina malata di alzheimer, lasciando solo le briciole agli aspetti storico-politici. Eppure Margaret Thatcher è stata la prima – e finora l’unica – donna a diventare Primo Ministro dell’Inghilterra, una donna che ha dedicato tutta la sua vita all’impegno politico fronteggiando il terrorismo (per mano dell’IRA), la disoccupazione, la guerra fredda, i disordini sociali e la guerra delle Falkland. Undici anni di governo sono liquidati in poche immagini, descritte sommariamente, a bocconi, quasi uno stralcio enciclopedico illustrato. La regista si concentra sull’aspetto femminista della storia credendo, forse, che la Thatcher abbia qualcosa in comune con la protagonista di Mamma mia!
In fondo non ci sarebbe voluta chissà quale abilità narrativa per scorrere solo undici anni di storia, considerando che Paolo Sorrentino è stato capace di raccontare magistralmente decenni di storia italiana ne Il Divo.
Questo film è un fallimento e se non fosse per l’interpretazione, il trucco e parrucco di Meryl Streep, sarebbe destinato all’oblio.

Voto: 4,5

15 gennaio 2012

La talpa (T. Alfredson, 2011)

Londra, 1973. Il Circus (servizi segreti britannici) viene scosso dal violento fallimento di una missione in Ungheria. Il capo, Controllo (John Hurt), e il suo fidato collaboratore, George Smiley (Gary Oldman), sono costretti alle dimissioni. A quest’ultimo, però, verrà affidato in segreto il duro compito di scoprire l’identità di una talpa filosovietica infiltrata ai vertici del Circus.

Definirlo thriller è davvero un errore (vedi citazione sulla locandina). Si tratta piuttosto della classica storia di spionaggio, e come tale necessita di parecchio caffè e concentrazione prima di iniziarne la visione. Forse però Alfredson ha un po’ esagerato. Non puoi distrarti un attimo, devi quasi prendere appunti per seguire l’intricata vicenda: devi ricordare nomi, luoghi e date senza possibilità di errore. Il primo tempo tesse la fitta trama della tela e il secondo tempo a poco a poco la sfila fino ad arrivare al bandolo della matassa. Ma che fatica! Sembrava che all'uscita dalla sala ci attendesse un valutatore di attenzione/intelligenza/logica per dare a ogni spettatore il voto che meritava sulla base di quanto aveva capito della trama e dell'intreccio.

Un film impeccabile a livello tecnico: ottimi attori (su tutti un Oldman strepitoso!), fotografia vivida e mimetica, ricostruzione storica coerente. Una bolla di sentimenti contrastanti inesplosi che racchiude in sé tutte le strategie e i complotti che segnarono la storia politica dei Paesi coinvolti nella guerra fredda. Bastava forse rendere la sceneggiatura più semplice per ottenere un gran film.

Voto: 6

J. Edgar (C. Eastwood, 2011)

L’odierna FBI nasce dalla mente geniale di un uomo ossessionato dalla sicurezza del proprio Paese. Talmente ossessionato da vedere nemici ovunque e da cancellare qualsiasi cosa lo distraesse dal suo lavoro.

Clint Eastwood confeziona un film biografico difficile, perché è estremamente complesso raccontare quarantotto anni di storia americana, piena di vicende misteriose, omicidi politici (J. F. Kennedy e Martin Luther King) e complotti ancora non completamente svelati. In un contesto del genere, solo un uomo di ferro come Edgar Hoover poteva sopravvivere.

Una ricostruzione storica perfetta fa da cornice a un fitto intreccio di eventi che si lasciano seguire con facilità. Soltanto una solida sceneggiatura consente allo spettatore di non perdersi mai nel labirinto delle strategie di spionaggio politico, ed evidentemente Eastwood lo sa bene.

DiCaprio ritorna nei panni di un ricco e potente megalomane – dopo The Aviator – e non dimentica i preziosi consigli di Scorsese, mettendo in scena un Edgar Hoover tanto ferreo nella vita pubblica quanto fragile in quella privata. Gli unici affetti che lo circondano sono la madre (Judi Dench), il collaboratore Clyde Tolson (Armie Hammer, suo amante) e la segretaria personale (Naomi Watts).

Tutto perfetto tranne il pessimo invecchiamento artificiale di Armie Hammer, che sembra più un pupazzo satirico che non un elegante e facoltoso anziano.

Voto: 8

2 gennaio 2012

Preferiti del 2011

Mi sono decisa. Ecco tra tutti i film che ho visto nel 2011, i miei preferiti!
Quali sono i vostri?

 

Tamara Drewe – Tradimenti all’inglese

Biutiful

Il cigno nero

Corpo celeste

Contagion

Carnage

Il Re Leone 3D

Midnight in Paris

Le Idi di marzo

 

Questa non è una classifica. I film sono ordinati per data di uscita nelle sale cinematografiche italiane.

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