26 ottobre 2013

La vita di Adele (A. Kechiche, 2013)


Esiste un particolare, una sensazione, che vi rivela immediatamente se un film vi è piaciuto o meno? Per me sì. Forse è banale, ma se le immagini mi tornano in mente il giorno dopo e se mi accorgo di pensare al film quando dovrei concentrarmi su altro, vuol dire che sono stata conquistata. Naturalmente si tratta di sensazioni che non controllo e che questa volta sono in contrasto con il malcontento di ieri sera. A caldo ho paragonato La vita di Adele a un sequestro di persona: un film troppo lungo, estenuante. Solo oggi ho capito che Kechiche poteva regalarci un gran film, ma che si è fatto prendere troppo la mano, proprio come un adolescente che, eccitato dalle esplicite scene di sesso lesbo, non riesce a smettere di guardare, di insistere, di scrutare quasi morbosamente. 
La storia è intensa ed emozionante, il tema innovativo (mai visti film sull'omosessualità femminile in erba), la prova di regia è ottima e l'impegno delle due attrici protagoniste è straordinario, ma questo non basta a costringerti su una poltrona dalle 21 alle 24.30 (con due intervalli). Nulla giustifica tale prolissità, tale insistenza sul sesso. Neanche un possibile capolavoro. 

Nessun commento:

Posta un commento

ShareThis